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Tre i patteggiamenti nell’ambito del processo antimafia “Tutto in famiglia”

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aula-tribunale-650x406Hanno patteggiato in tre davanti al giudice Alessandra Piffner alcuni tra i responsabili della turbativa d’asta con favoreggiamento alla ‘ndrangheta che nel luglio scorso era stata al centro dell’operazione “Tutto in famiglia“. Le manette allora erano scattate per sette soggetti, ritenuti a vario titolo ideatori ed esecutori di un piano criminale per permettere ai fratelli  Vincenzo e Pietro Paolo Portolesi - secondo il pentito Rocco Marando «affiliati al clan di Volpiano» – di rientrare in possesso di diciassette mezzi pesanti, sequestratigli nell’ambito della maxi-operazione antimafia torinese “Minotauro“.

Pietro Paolo Portolesi risulta essere stato dal 2002 il reggente del clan nell’hinterland torinese dopo l’omicidio del super boss della droga Pasquale Marando, fratello del pentito.
Un anno e cinque mesi, dunque, patteggiati da Pietro Paolo Portolesi, difeso dall’avvocato Giuseppe Zanalda, che vanno a confluire nella pena già patteggiata (1 anno e 8 mesi) durante il processo “Minotauro” per 416bis, il reato di associazione di stampo mafioso, e in quella pregressa legata al traffico di droga; un anno per Giuseppe Di Giovanni e altrettanto per Francesco Pirrello, difeso dall’avvocato Carlo Maria Romeo.
Ciò che colpi fin dalle prime battute era l’intervento nell’operazione illegale dei fratelli Giuseppe e Lorenzo Di Giovanni, da tempo imprenditori noti nel Novarese, entrambi interessati contestualmente da altre vicende processuali o con precedenti di rilievo.
I Di Giovanni infatti ebbero il ruolo di mettere in contatto i due Portolesi con altri due fratelli, Francesco e Onofrio Pirrello, in grado di partecipare come “teste di legno” all’asta giudiziaria torinese, disincentivando la concorrenza e rientrando in possesso dei mezzi con facilità (e risparmio notevole).
I fatti della scorsa estate colpirono l’attenzione inoltre anche per la presenza più o meno formale nel Novarese di alcuni degli imputati. Oltre infatti ai Di Giovanni, al giovane Antonio Pizzata, prestanome nipote dei Portolesi, venne registrata una residenza fittizia nel Novarese; come anche per un certo periodo questo fu il territorio di residenza degli stessi Portolesi.
Per i quattro imputati che non hanno patteggiato, udienza preliminare fissata per l’inizio del nuovo anno.

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